Sfida all’ultimo respiro

Sfida all'ultimo respiro

In quale direzione stiamo orientando le nostre giovani generazioni? Mentre il mondo intero viene interamente assorbito dalle preoccupazioni pandemiche, tra i giovanissimi dilagano mode pericolose, insidiose per la vita di esseri umani interessati per lo più ad una notorietà fulminea puramente virtuale.

Siamo totalmente accecati dalle esigenze economiche del nostro paese da non renderci conto del danno generazionale verso cui stiamo procedendo.

Sto esplicitamente parlando della “Blackout challenge”, una sfida all’ultimo respiro, di cui si fa protagonista Tik Tok. Siamo spettatori passivi di una competizione che creerà più vittime che vincitori. La sfida consiste nel mostrare la propria capacità di resistere maggior tempo possibile con una cintura stretta attorno al proprio collo, il tutto viene registrato e condiviso con i propri followers.

Sono molteplici le storie di genitori coraggiosi che hanno narrato la tragica fine dei loro figli morti prematuramente per partecipare a tale sfida.

Fa scalpore simultaneamente il disinteresse delle istituzioni verso tali eventi, quanto più la loro ricerca di colpevolezza nell’incuria dei genitori piuttosto che pensare ad accurate soluzioni.

Oltretutto sui giovani si riversano colpe, si ovvia il problema piuttosto che calarsi e ascoltare a menti aperte il grido dei nostri adolescenti, ideare e progettare cambiamenti utili.

Ciò che accomuna tali tragici eventi è la prematura esposizione alla rete virtuale, la precaria maturità per distinguere finzione e realtà, la mancanza di dialogo su tali tematiche a casa e a scuola.

Come afferma una recente inchiesta di skuola.net 1 giovane su 10, ha sfidato la sorte emulando un loro coetaneo con il solo scopo di notorietà frivola. Il problema c’è ed è di gran lunga più gravoso di quanto i media ci mostrano, sono a mio avviso necessari interventi calibrati ad hoc.

Confrontarsi su come utilizzare il mondo social non vuol dire semplicemente far dialogare un adulto esperto, ma ascoltare attivamente quanto i ragazzi hanno da dire, pensare insieme a loro a possibili soluzioni e metterle in atto nel concreto. I genitori potrebbero partecipare a gruppi di supporto, per non sentire la solitudine quanto piuttosto la condivisione di problematiche comuni.

Sicuramente la clausura imposta dall’assetto pandemico ha favorito il propagarsi di tale fenomeno e la mancanza di socialità condivisa fatta di chiacchiere ed esperienze reali l’ha incentivata.

Ora è tutto nelle mani del pubblico adulto… spettatore giudicante o promotore di risorse positive?

 

In quale direzione stiamo orientando le nostre giovani generazioni? Mentre il mondo intero viene interamente assorbito dalle preoccupazioni pandemiche, tra i giovanissimi dilagano mode pericolose, insidiose per la vita di esseri umani interessati per lo più ad una notorietà fulminea puramente virtuale.

Siamo totalmente accecati dalle esigenze economiche del nostro paese da non renderci conto del danno generazionale verso cui stiamo procedendo.

Sto esplicitamente parlando della “Blackout challenge”, una sfida all’ultimo respiro, di cui si fa protagonista Tik Tok. Siamo spettatori passivi di una competizione che creerà più vittime che vincitori. La sfida consiste nel mostrare la propria capacità di resistere maggior tempo possibile con una cintura stretta attorno al proprio collo, il tutto viene registrato e condiviso con i propri followers.

Sono molteplici le storie di genitori coraggiosi che hanno narrato la tragica fine dei loro figli morti prematuramente per partecipare a tale sfida.

Fa scalpore simultaneamente il disinteresse delle istituzioni verso tali eventi, quanto più la loro ricerca di colpevolezza nell’incuria dei genitori piuttosto che pensare ad accurate soluzioni.

Oltretutto sui giovani si riversano colpe, si ovvia il problema piuttosto che calarsi e ascoltare a menti aperte il grido dei nostri adolescenti, ideare e progettare cambiamenti utili.

Ciò che accomuna tali tragici eventi è la prematura esposizione alla rete virtuale, la precaria maturità per distinguere finzione e realtà, la mancanza di dialogo su tali tematiche a casa e a scuola.

Come afferma una recente inchiesta di skuola.net 1 giovane su 10, ha sfidato la sorte emulando un loro coetaneo con il solo scopo di notorietà frivola. Il problema c’è ed è di gran lunga più gravoso di quanto i media ci mostrano, sono a mio avviso necessari interventi calibrati ad hoc.

Confrontarsi su come utilizzare il mondo social non vuol dire semplicemente far dialogare un adulto esperto, ma ascoltare attivamente quanto i ragazzi hanno da dire, pensare insieme a loro a possibili soluzioni e metterle in atto nel concreto. I genitori potrebbero partecipare a gruppi di supporto, per non sentire la solitudine quanto piuttosto la condivisione di problematiche comuni.

Sicuramente la clausura imposta dall’assetto pandemico ha favorito il propagarsi di tale fenomeno e la mancanza di socialità condivisa fatta di chiacchiere ed esperienze reali l’ha incentivata.

Ora è tutto nelle mani del pubblico adulto… spettatore giudicante o promotore di risorse positive?

Cristina Tonelli