Messaggio per la Giornata dei Poveri del 14 novembre 2021
L'appello del Papa in occasione della ricorrenza

Il 14 novembre si celebra la Giornata mondiale del Povero e questo è il messaggio di Papa Francesco per ricordarci di stare sempre vicino ai poveri
Messaggio di Papa Francesco
1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un
pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della
Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di
profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e
diede adito a due diverse interpretazioni.
La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore
del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che
sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda
che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento
denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli
importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi
mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del
traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non
possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda
sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della
Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia
allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).
La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del
gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto
un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto
l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione
va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più
povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole,
emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua
sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa
donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel
corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che
prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura
e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed
è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione
evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in
ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).
2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in
contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione
sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.
Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta
l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua
presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita
dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti
a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi
ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno
(cfr Mt 5,3).
I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in
modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre
a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a
riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa.
Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma
anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza
che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in
azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un
eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica
cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua
persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 198-199).
3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un
forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete
sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma
non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di
vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e
sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché
venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si
sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la
condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La
prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti,
quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri
sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.
Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro
progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con
grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto
accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per
rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere
vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”,
come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una
condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è
molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente
all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta
condivisione.
4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi
e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro
cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante
uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come
persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare
tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario,
richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno
(cfr Mt 6,19-20).
L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli
occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte
tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze
effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore;
si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo.
Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua
carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.
5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e
chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano
sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non
solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o
seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in
condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.
Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la
pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e,
purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia
gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte
concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di
famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono
capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo
molto importante in questo frangente.
6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta
tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il
fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali
possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo.
Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di
partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei
“poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare
qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono
essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti
esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la
condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino
il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e
nessuno può loro togliere.
7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le
Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di
andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera
decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della
loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso
degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere
con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità
creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le
capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà
sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca
all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di
umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede
aiuto.
8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità
che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se
vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non
chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto
occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non
si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a
cui avrai messo mano.Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11).
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue
comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza
né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra
coscienza facendo qualche elemosina, ma piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e
dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.
In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è
generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di
povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di
bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora
manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto
per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori,
buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della
sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della
povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura»
(Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).
9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento
come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più
sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo
benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto
pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di
rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in
alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i
segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo
contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve
impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come
risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.
Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa
radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che
incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla
nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di
assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di
accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel
cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non
chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande
rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della
coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri
si abbracciano, non si contano» (“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come
sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così
riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di
salvezza.
Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2021,
Memoria di Sant’Antonio di Padova
FRANCESCO