Il volontariato ai tempi del coronavirus

Il volontariato ai tempi del Coronavirus

“Dio è talmente grande che ci ha donato una libertà condizionata: puoi fare e dire quello che vuoi ma quando ti chiama lo accogli a cuore aperto. Io ero ateo fino ai 49 anni e guarda ora, addirittura benedico le case in veste di diacono” esordisce Pietro, 59 anni, guidando il furgoncino diretto al banco alimentare di Pesaro. Dietro è seduta Erika, una giovane volontaria Caritas residente vicino al luogo di partenza: la chiesa Gran Madre di Dio, quartiere San Lazzaro di Fano. Superiamo un paio di posti di blocco. A destra, il mare è piatto come una tavola, limpido come non era da tempo. Decine di nasse galleggiano lente sulla superficie.
“In 60 anni di vita non ho mai visto una situazione simile. Sinceramente ho paura di ammalarmi, ma è necessario che qualcuno porti avanti l’attività di volontariato e rifornisca le parrocchie del Comune. Il pacco cibo è il primo passo per conoscere e recuperare l’umanità, virus o no. La carità è un pilastro della chiesa, le parole senza opere non valgono nulla. Ecco perché occorre reagire all’imprevisto e ripartire dai gesti che ora mancano: strette di mano, lacrime, abbracci, poiché non sono scontati. Nulla è scontato, c’è un disegno divino per tutto”. Mentre carichiamo pacchi di riso, passata di pomodoro, barattoli di fagioli e bottiglie di the, Pietro prosegue, allineando le scatole nel retro del mezzo. “Ciò che ci sta salvando è l’essere cristiani, aver capito che far del bene agli altri fa bene a noi. Il volontariato manda avanti l’Italia e come Caritas facciamo la nostra parte. Stiamo già centellinando ogni risorsa per il dopo; prevediamo il rischio di una situazione povertà duratura. In questo periodo colgo un ritorno alla chiesa enorme. La gente si mette nelle mani di Dio e prega”. Ripenso all’Ucraina devastata dalla guerra e alle sue chiese stracolme di fedeli, aggrappati alla fede come fiori sugli strapiombi di montagna. In via Piave vanno e vengono le famiglie beneficiarie del pacco alimentare. Sorrisi velati dalle stoffe delle mascherine. C’è anche Fiorenzo, responsabile del progetto. Rivestiamo, sito in una chiesetta di Centinarola: “Abbiamo chiuso momentaneamente il servizio perché capitava che ci portassero anche vestiti di anziani morti di recente. Era rischioso; troppi contatti, passaggi, mani. Abbiamo comunque messo preventivamente da parte abbastanza vestiti per la prossima primavera.
Non c’è mai gratitudine sufficiente per tutti i grazie, i sorrisi e le pacche che riceviamo”. A Pasqua le strade sono vuote e i giardini pieni. Le case si animano di vita e gli odori evaporano tra gli aghi di pino e i raggi del sole. A dimostranza che nella ruota della vita tutto torna, Giuseppe, sostenuto dalla Caritas in tempi difficili, ha deciso di rendersi utile e, “saldare il conto”. È un uomo cordiale, con la pancia pronunciata e l’accento piemontese. La bora sbatte contro la chiesa del Carmine, facendo ondeggiare un tricolore legato ad una persiana spalancata sul mondo.

“Dio è talmente grande che ci ha donato una libertà condizionata: puoi fare e dire quello che vuoi ma quando ti chiama lo accogli a cuore aperto. Io ero ateo fino ai 49 anni e guarda ora, addirittura benedico le case in veste di diacono” esordisce Pietro, 59 anni, guidando il furgoncino diretto al banco alimentare di Pesaro. Dietro è seduta Erika, una giovane volontaria Caritas residente vicino al luogo di partenza: la chiesa Gran Madre di Dio, quartiere San Lazzaro di Fano. Superiamo un paio di posti di blocco. A destra, il mare è piatto come una tavola, limpido come non era da tempo. Decine di nasse galleggiano lente sulla superficie.
“In 60 anni di vita non ho mai visto una situazione simile. Sinceramente ho paura di ammalarmi, ma è necessario che qualcuno porti avanti l’attività di volontariato e rifornisca le parrocchie del Comune. Il pacco cibo è il primo passo per conoscere e recuperare l’umanità, virus o no. La carità è un pilastro della chiesa, le parole senza opere non valgono nulla. Ecco perché occorre reagire all’imprevisto e ripartire dai gesti che ora mancano: strette di mano, lacrime, abbracci, poiché non sono scontati. Nulla è scontato, c’è un disegno divino per tutto”. Mentre carichiamo pacchi di riso, passata di pomodoro, barattoli di fagioli e bottiglie di the, Pietro prosegue, allineando le scatole nel retro del mezzo. “Ciò che ci sta salvando è l’essere cristiani, aver capito che far del bene agli altri fa bene a noi. Il volontariato manda avanti l’Italia e come Caritas facciamo la nostra parte. Stiamo già centellinando ogni risorsa per il dopo; prevediamo il rischio di una situazione povertà duratura. In questo periodo colgo un ritorno alla chiesa enorme. La gente si mette nelle mani di Dio e prega”. Ripenso all’Ucraina devastata dalla guerra e alle sue chiese stracolme di fedeli, aggrappati alla fede come fiori sugli strapiombi di montagna. In via Piave vanno e vengono le famiglie beneficiarie del pacco alimentare. Sorrisi velati dalle stoffe delle mascherine. C’è anche Fiorenzo, responsabile del progetto. Rivestiamo, sito in una chiesetta di Centinarola: “Abbiamo chiuso momentaneamente il servizio perché capitava che ci portassero anche vestiti di anziani morti di recente. Era rischioso; troppi contatti, passaggi, mani. Abbiamo comunque messo preventivamente da parte abbastanza vestiti per la prossima primavera.
Non c’è mai gratitudine sufficiente per tutti i grazie, i sorrisi e le pacche che riceviamo”. A Pasqua le strade sono vuote e i giardini pieni. Le case si animano di vita e gli odori evaporano tra gli aghi di pino e i raggi del sole. A dimostranza che nella ruota della vita tutto torna, Giuseppe, sostenuto dalla Caritas in tempi difficili, ha deciso di rendersi utile e, “saldare il conto”. È un uomo cordiale, con la pancia pronunciata e l’accento piemontese. La bora sbatte contro la chiesa del Carmine, facendo ondeggiare un tricolore legato ad una persiana spalancata sul mondo.

Matthias Canapini