Il corpo nel presente con la testa al futuro

Molto più spesso di quel che si spererebbe, vengono alla luce fatti di cronaca tristi e spiacevoli che fanno meditare su dove siano arrivate e quali direzioni abbiano preso la nostra educazione, la nostra cultura e anche la nostra sanità mentale.
Il tranquillo signore che si reca a far spesa in un centro commerciale parcheggiando senza problemi nel posto riservato a persone con disabilità e, pur essendo palesemente in torto, si altera a tal punto che torna per affiggere un cartello con scritto “ti sta bene che sei handicappato”.
Egli ha il chiaro intento di offendere e recare sofferenza a colui che, davvero disabile, ha avvertito le autorità competenti di ciò che aveva fatto questo incurante cittadino.
Oppure la signora di mezza età educata, curata e madre di famiglia che non può evitare una smorfia di fastidio se qualche disabile si permette di passarle avanti alla coda di un supermercato o dal proprio medico, malgrado nei suoi pieni diritti di persona più vulnerabile e fragile.
Cosa celano questi piccoli ma lampanti esempi di un disagio ancestrale nei confronti di tutto ciò che non ci riguarda, che non sia perfetto e convenzionale, che possa anche solo ipoteticamente guastare il nostro orticello così ben curato e assicurato da recinzioni belle alte, le nostre chiusure mentali?
Perché siamo arrivati a questo punto di aridità umana e sociale?
Quale il motivo per cui, chiuso il portone di casa dietro le nostre spalle, ci rivolgiamo e agiamo con fare sospettoso e assai critico, soprattutto verso chi noi pensiamo ci faccia uno sgarbo?
Quali titoli ci addossiamo per pensarci e valutarci giudici privati e integerrimi nel nostro mondo privato? Perché tanta inflessibilità nel giudizio altrui e altrettanta morbidezza verso le nostre azioni, spesso non così candide come ci vogliamo raccontare?
A volte sembriamo davvero un bellissimo vaso dorato al quale, avvicinandoci, possiamo attribuire all’esterno piccole spaccature e rattoppi che svelano una latente imperfezione interiore.
L’attualità, la cronaca di oggi, la pressione a cui siamo sottoposti ci inducono a una chiusura e intolleranza che forse non sarebbero nemmeno nelle nostre corde più intime, nel nostro Io.
Occorrerebbe ritrovare in ognuno di noi un briciolo di umiltà, di solidarietà umana scendendo dal piedistallo cristallino che ci siamo edificati, immaginandoci immortali e infallibili.
Oggi ci si grida addosso, si procede creando muri invisibili ma pesanti come macigni, si segue la logica della paura o dell’egoismo mascherati da amor proprio, ma non sempre deve andare così.
È necessario il tentativo collettivo di scegliere il buon senso mischiato a umanità, la volontà di migliorare, assieme ad una cultura ed una educazione intelligente che possano avere inizio ed essere garantite da scuola e famiglia, i primi nuclei conosciuti e vissuti dai più piccoli, che hanno il grande compito di procedere in avanti con un importante incombenza sulle spalle: il futuro.
Cristina Tonelli.
Molto più spesso di quel che si spererebbe, vengono alla luce fatti di cronaca tristi e spiacevoli che fanno meditare su dove siano arrivate e quali direzioni abbiano preso la nostra educazione, la nostra cultura e anche la nostra sanità mentale.
Il tranquillo signore che si reca a far spesa in un centro commerciale parcheggiando senza problemi nel posto riservato a persone con disabilità e, pur essendo palesemente in torto, si altera a tal punto che torna per affiggere un cartello con scritto “ti sta bene che sei handicappato”.
Egli ha il chiaro intento di offendere e recare sofferenza a colui che, davvero disabile, ha avvertito le autorità competenti di ciò che aveva fatto questo incurante cittadino.
Oppure la signora di mezza età educata, curata e madre di famiglia che non può evitare una smorfia di fastidio se qualche disabile si permette di passarle avanti alla coda di un supermercato o dal proprio medico, malgrado nei suoi pieni diritti di persona più vulnerabile e fragile.
Cosa celano questi piccoli ma lampanti esempi di un disagio ancestrale nei confronti di tutto ciò che non ci riguarda, che non sia perfetto e convenzionale, che possa anche solo ipoteticamente guastare il nostro orticello così ben curato e assicurato da recinzioni belle alte, le nostre chiusure mentali?
Perché siamo arrivati a questo punto di aridità umana e sociale?
Quale il motivo per cui, chiuso il portone di casa dietro le nostre spalle, ci rivolgiamo e agiamo con fare sospettoso e assai critico, soprattutto verso chi noi pensiamo ci faccia uno sgarbo?
Quali titoli ci addossiamo per pensarci e valutarci giudici privati e integerrimi nel nostro mondo privato? Perché tanta inflessibilità nel giudizio altrui e altrettanta morbidezza verso le nostre azioni, spesso non così candide come ci vogliamo raccontare?
A volte sembriamo davvero un bellissimo vaso dorato al quale, avvicinandoci, possiamo attribuire all’esterno piccole spaccature e rattoppi che svelano una latente imperfezione interiore.
L’attualità, la cronaca di oggi, la pressione a cui siamo sottoposti ci inducono a una chiusura e intolleranza che forse non sarebbero nemmeno nelle nostre corde più intime, nel nostro Io.
Occorrerebbe ritrovare in ognuno di noi un briciolo di umiltà, di solidarietà umana scendendo dal piedistallo cristallino che ci siamo edificati, immaginandoci immortali e infallibili.
Oggi ci si grida addosso, si procede creando muri invisibili ma pesanti come macigni, si segue la logica della paura o dell’egoismo mascherati da amor proprio, ma non sempre deve andare così.
È necessario il tentativo collettivo di scegliere il buon senso mischiato a umanità, la volontà di migliorare, assieme ad una cultura ed una educazione intelligente che possano avere inizio ed essere garantite da scuola e famiglia, i primi nuclei conosciuti e vissuti dai più piccoli, che hanno il grande compito di procedere in avanti con un importante incombenza sulle spalle: il futuro.
Cristina Tonelli.
Cristina Tonelli