D come DONNA

D come DONNA

La società appare discordante; da un lato chiede alla donna risultati performanti, dall'altro un atteggiamento materno.

Photo by Brooke Lark on Unsplash
Photo by Brooke Lark on Unsplash

“Discriminazione di genere”: una locuzione già sgradevole di per sé, poiché insinua da subito un’idea discriminante, di esclusione, negativa… nulla di buono dunque.

Per “genere” ci riferiamo al genere femminile e a quello maschile, il primo da sempre discriminato per difetto rispetto al secondo, considerato la “porzione” forte del genere umano.

Nonostante possiamo parlare di ambienti profondamente sviluppati e avanguardisti quali lo sport, la medicina, le forze armate e lo studio e ricerca, anche in essi impudentemente avvengono discriminazioni di vario aspetto, più o meno sfrontate.

Da ogni parte del mondo, a qualsivoglia ambiente si possa pensare, esistono casi in cui la società spesso si impone come ago della bilancia a favore del genere maschile.

Disparità pecuniaria o di prestigio carrieristico, in primo luogo.

In ambito ospedaliero, secondo un’indagine promossa dalla Ragioneria Generale dello Stato (Fonte: Il Messaggero, 12 ottobre 2019), alle donne è preclusa la possibilità di fare carriera: in media ai vertici arriva solo una su 10.

Demansionamento, mobbing, passando per il licenziamento fino a giungere a vere e proprie molestie, tutto questo deve subire una donna. O anche no. A volte si può anche essere accompagnate alla porta con eleganza poiché incinte o solo perché in teoria capaci di procreare, e quindi rallentare la propria carriera.

Il sistema sociale attuale “stranamente” non tiene conto del fatto che la specie debba continuare, va da sé, obbligatoriamente, con la procreazione che coinvolge ovviamente il corpo femminile.

E qui si racchiude tutta l’ipocrisia della nostra società odierna la quale tutto vuole e tutto impone: realizzazione lavorativa, personale, un focolare sempre acceso con una donna che pianifica, prepara, organizza e gestisce casa, prole, compagno.

Una società a questo punto alquanto discordante, poiché se da un lato incita e richiede alla donna risultati performanti, tali da competere agilmente con la figura maschile, dall’altro da lei si attende un atteggiamento sempre materno, accogliente, curante.

Questo è il risultato di un retaggio culturale millenario implicito nella nostra mente a prescindere da quale stile di vita si sviluppi.

La civiltà di oggi, insomma, domanda a una donna un dolce appena sfornato accanto ad un Pc sempre in funzione.

È giunta l’ora in cui ci si schiariscano un po’ le idee, si capisca il valore della donna, lo si accentui senza svilirlo e allo stesso tempo che la donna ottenga rispetto e protezione, come il più prezioso dei fiori.

“Discriminazione di genere”: una locuzione già sgradevole di per sé, poiché insinua da subito un’idea discriminante, di esclusione, negativa… nulla di buono dunque.

Per “genere” ci riferiamo al genere femminile e a quello maschile, il primo da sempre discriminato per difetto rispetto al secondo, considerato la “porzione” forte del genere umano.

Nonostante possiamo parlare di ambienti profondamente sviluppati e avanguardisti quali lo sport, la medicina, le forze armate e lo studio e ricerca, anche in essi impudentemente avvengono discriminazioni di vario aspetto, più o meno sfrontate.

Da ogni parte del mondo, a qualsivoglia ambiente si possa pensare, esistono casi in cui la società spesso si impone come ago della bilancia a favore del genere maschile.

Disparità pecuniaria o di prestigio carrieristico, in primo luogo.

In ambito ospedaliero, secondo un’indagine promossa dalla Ragioneria Generale dello Stato (Fonte: Il Messaggero, 12 ottobre 2019), alle donne è preclusa la possibilità di fare carriera: in media ai vertici arriva solo una su 10.

Demansionamento, mobbing, passando per il licenziamento fino a giungere a vere e proprie molestie, tutto questo deve subire una donna. O anche no. A volte si può anche essere accompagnate alla porta con eleganza poiché incinte o solo perché in teoria capaci di procreare, e quindi rallentare la propria carriera.

Il sistema sociale attuale “stranamente” non tiene conto del fatto che la specie debba continuare, va da sé, obbligatoriamente, con la procreazione che coinvolge ovviamente il corpo femminile.

E qui si racchiude tutta l’ipocrisia della nostra società odierna la quale tutto vuole e tutto impone: realizzazione lavorativa, personale, un focolare sempre acceso con una donna che pianifica, prepara, organizza e gestisce casa, prole, compagno.

Una società a questo punto alquanto discordante, poiché se da un lato incita e richiede alla donna risultati performanti, tali da competere agilmente con la figura maschile, dall’altro da lei si attende un atteggiamento sempre materno, accogliente, curante.

Questo è il risultato di un retaggio culturale millenario implicito nella nostra mente a prescindere da quale stile di vita si sviluppi.

La civiltà di oggi, insomma, domanda a una donna un dolce appena sfornato accanto ad un Pc sempre in funzione.

È giunta l’ora in cui ci si schiariscano un po’ le idee, si capisca il valore della donna, lo si accentui senza svilirlo e allo stesso tempo che la donna ottenga rispetto e protezione, come il più prezioso dei fiori.

Cristina Tonelli